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Vangelo di domenica 23 aprile: «Si aprirono i loro occhi». 

DiMaurizio Raimondo

Apr 22, 2023

Questa domenica lasciamoci coinvolgere nel cammino dei discepoli di Emmaus, chiedendo al Signore di sperimentare anche noi, nella nostra vita, il loro itinerario trasformativo…

La terza domenica di Pasqua ci propone l’incontro tra il Signore risorto e i  discepoli di Emmaus, un incontro significativo e paradigmatico. Ci fa capire  come Gesù continui ad agire nella nostra storia per condurci ad una  comunione sempre più piena con Lui e tra noi. 

Due discepoli si stanno allontanando da Gerusalemme, luogo dove Gesù è  morto. Si allontanano da quello che per loro è luogo di “sconfitta”, che fa  loro male e, al contempo, si allontanano dalla comunità. Potremmo dire che  si isolano. Lungo questo cammino «conversavano tra loro di quanto era  accaduto». Luca usa il verbo omilein. Si facevano l’omelia, parlavano senza  ascoltarsi o comunque presi e convinti delle loro prospettive, fomentando  tristezza e delusione.

Ad un tratto, uno “sconosciuto” si affianca loro e si fa dire di cosa stessero  parlando. Ed ecco la spiegazione della loro sofferenza: «noi pensavamo che  fosse lui a liberare Israele…». Cioè loro da Gesù si aspettavano altro, se lo  aspettavano diverso, e questo li sta mandando in tilt. Le cose non dovevano  andare così, pensavano a un esito diverso, a un cammino diverso, impastato  di gloria, di conquiste, di liberazioni roboanti… Quante volte ci capita lo  stesso: non soffriamo tanto per i fatti ma per la lettura distorta che ne diamo,  negativa, egoistica, oppure per le nostre aspettative assolutizzate ma  smentite dai fatti, attese e poi disattese.

Gesù parte da qui, dal punto dove si  trovano, e dopo averli ascoltanti, li riprende autorevolmente per  l’incomprensione e la durezza di cuore. Questo avrà generato in loro  imbarazzo, vergogna, disponendoli all’ascolto. E Gesù inizia a spiegare loro  come tutto ciò che è accaduto era stato profetizzato e rientra nel disegno di  salvezza di Dio. Egli doveva amarci sino

alla fine per manifestarci il suo volto,  era necessario che fosse fedele in tutto per riconciliarci al Padre. La parola di  Gesù e la grazia dello Spirito Santo iniziano a “chiarire le idee”, aiutando i  discepoli a leggere le cose secondo un’altra prospettiva, secondo la vera  prospettiva.

Qualcosa si accende in loro, avvertono “il fuoco nel petto”, una  gioia profonda, una presenza amica che li rasserena e rischiara. Quindi “lo  sconosciuto”, esaudendo la loro richiesta, resta con loro e nell’atto dello  spezzare il pane lo riconoscono: è Gesù risorto!, e subito scomparve dai loro  occhi. E poi, pieni di gioia, una volta ascoltato, celebrato la comunione con il  Signore, ritornano pieni di gioia dagli altri discepoli, facendo nuovamente  comunione con essi, annunziando quanto hanno vissuto.  

Cosa abbiamo qui sotto se non la grammatica della celebrazione  eucaristica? Dove ancora oggi incontriamo Gesù risorto? 

Noi arriviamo a messa con le nostre gioie e dolori, con i nostri peccati, con i  nostri pensieri, con la nostra lettura dei fatti, della storia, della nostra storia.  Ed ecco che dopo l’atto penitenziale, che ci aiuta a disporci in umiltà davanti  a Dio, ne ascoltiamo la parola, che come dice il Salmo 118 è «lampada ai nostri  passi e luce sul nostro cammino» (v. 105).

La parola di Dio che accogliamo  nella liturgia, quel passo del Vangelo che meditiamo quotidianamente  (speriamo di farlo!), è una luce che rischiara le nostre tenebre, che ci aiuta a  leggere nella verità le cose e a scegliere secondo il meglio, secondo il cuore  di Dio. Abbiamo tanto bisogno di lasciarci parlare alla mente e al cuore da  Gesù, abbiamo bisogno di aprirci con chi ci può aiutare spiritualmente a  vedere le cose nella giusta prospettiva. Tante nostre letture dei fatti sono  parziali, incomplete, viziate, assolutizzate. L’ascolto della parola di Dio nella  liturgia è occasione preziosa per andare più in profondità. 

E poi, dopo aver ascoltato il Signore nella liturgia della parola, ecco la  liturgia eucaristica, dove accogliamo Lui e diciamo il nostro amen per  vivere ciò che abbiamo udito. Dio si fa pane di vita, alimento per sostenere  il nostro cammino in questa vita. È un dono immenso. Giovanni Paolo II  ebbe a dire: «Qui c’è il tesoro della Chiesa, il cuore del mondo, il pegno del  traguardo a cui ogni uomo, anche inconsapevolmente anela; nell’umile  segno del pane e del vino, Cristo cammina con noi, quale nostra forza e nostro viatico, e ci rende per tutti testimoni di speranza». Chissà quanto ne  siamo consapevoli.

In una rivelazione privata, Gesù disse a santa Faustina:  «Sappi, figlia mia, che quando nella S. Comunione vengo in un cuore  umano, ho le mani piene di grazie di ogni genere e desidero donarle  all’anima, ma le anime non mi prestano nemmeno attenzione, Mi lasciano  solo e si occupano di altro»… 

Infine, l’invio, l’ite missa est che non è un arrivederci e grazie, o andate in  pace, tutto finito, a posto così; no, è un andate, la missione è. Sì, quella  bellezza che abbiamo incontrato, quell’amore che abbiamo accolto,  quell’incontro con Dio che abbiamo celebrato, ci spinge ad andare incontro  agli altri, per celebrare rapporti di fraternità e di comunione.

Cari fratelli e  sorelle, questo testo, non solo ci comunica una mirabile esperienza del  Risorto ma ci consegna le coordinate per viverla anche noi, specialmente  durate la celebrazione eucaristica, “luogo” dove il Signore continua a  rendersi presente per parlarci, comunicarsi a noi e trasformarci. Che il  Signore ci aiuti a scoprirne sempre più la bellezza e il valore perché Egli  possa davvero regnare nel nostro cuore. 

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