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Epifania: cosa significa e perché si festeggia.

DiMaurizio Raimondo

Gen 6, 2024

Perché si festeggia l’Epifania e perché si chiama così? Perché i Re Magi portano oro, incenso e mirra? Perché la Befana porta carbone e dolci? Scopriamo insieme il significato del termine e alcune curiosità su Re Magi e Befana.

Il giorno dell’Epifania segna la conclusione ufficiale delle vacanze natalizie. Il 6 gennaio è atteso soprattutto dai bambini per la tradizionale calza carica di doni, che la Befana porta a tutti i bambini buoni, eppure l’Epifania è una festa la cui origine nulla avrebbe a che vedere con la vecchina sulla scopa.

Cosa significa Epifania? Perché si festeggia? Ripercorriamo le tradizioni del 6 gennaio, spiegando le origini della festa, l’etimologia della parola Epifania, il significato dei doni dei Re Magi (oro, incenso e mirra) e della Befana (carbone e dolci).

L’Epifania non è un giorno di festa solo per i più piccoli, che dal giorno successivo torneranno tra i banchi di scuola, ma anche per i lavoratori: il 6 gennaio in Italia è un giorno festivo, così come Natale, Santo Stefano e il 1 gennaio. L’Epifania è una festa religiosa cristiana, che celebra il giorno in cui Dio rivelò agli uomini la nascita di suo Figlio, rivelazione che venne fatta ai Re Magi richiamati da lontano a Betlemme dopo aver visto sorgere la stella annunciata dall’Antico Testamento. Il termine Epifania viene dal greco antico epìphaneia che significa appunto “manifestazione, rivelazione, apparizione“.

La celebrazione della festa è inoltre antichissima e sembra sin dal II secolo d.C. si possano ritrovare delle tracce di queste celebrazioni. In un primo momento le persone però festeggiavano il 6 gennaio il battesimo di Gesù. La setta degli gnostici riteneva infatti che durante il battesimo Cristo si fosse incarnato e non prima.
In un secondo momento, intorno al IV secolo, la Chiesa riuscì a epurare la festa di queste credenze gnostiche e inserirla nei festeggiamenti religiosi dell’Occidente cristiano. Il giorno dell’Epifania si festeggia quindi ancora oggi essendo legato ai riti cristiani e alle tradizioni religiose, che vedono la manifestazione del Figlio di Dio a tutte le genti. L’adorazione di Gesù da parte dei re Magi, provenienti da paesi lontani (la tradizione popolare cristiana li vorrebbe ognuno proveniente da un diverso continente e con il nome di Melchiorre, Baldassarre e Gaspare), rappresenta infatti la manifestazione del Bambino Gesù come Dio a tutti i popoli (non solo agli ebrei) e quindi a tutta l’umanità.

Perché i Magi portano oro, incenso e mirra?

I doni portati dai Re Magi a Gesù nell’episodio narrato nel vangelo di Matteo non sono casuali:

  • l’oro è un dono degno di un re e serve a simboleggiare la regalità di Gesù;
  • l’incenso è una resina aromatica che sprigiona profumo quando bruciata ed è usato nelle chiese anche oggi nelle funzioni religiose. Quando bruciato l’incenso emana un fumo profumato che dalla terra può diffondersi nell’aria fino ad arrivare a Dio e, proprio essendo destinato a venerare Dio, come dono sta a simboleggiare la divinità di Gesù;
  • la mirra è il dono più misterioso forse oggi, ma non ai tempi di Gesù, in quanto si tratta di una resina che si utilizzava sui morti per profumarli e per imbalsamare i cadaveri. Il dono simboleggia l’umanità di Gesù.

L’Epifania e la Befana: il legame nelle leggende

La figura della Befana è giunta invece in un secondo momento e non ha alcun tipo di legame con i riti cristiani o con la religione. Le leggende che ruotano intorno a questa figura sono moltissime, ma senza dubbio la più interessante e suggestiva è quella che vede in questa vecchina la personificazione di Madre Natura. Secondo alcune leggende infatti la Befana altri non sarebbe che Madre Natura, avvizzita e invecchiata, dal momento che in questo periodo dell’anno il freddo la porta ad essere poco attraente. I doni in questo caso sarebbero i regali che essa fa alle persone per ricordare a tutti che tornerà, tra qualche mese, più bella e lussureggiante che mai.

Un’altra leggenda che risulta molto interessante è quella che lega sacro e profano, mettendo insieme le figure dei Magi e quella della Befana. Secondo questa favola popolare infatti la Befana altri non era che una vecchina, che abitava sulla strada che percorsero i Magi per recarsi alla mangiatoia di Cristo. La donna, essendo troppo intenta a fare le pulizie, decise di vedere il passaggio dei Re Magi al loro rientro. I tre però al ritorno fecero una strada diversa e non il percorso vicino alla casa della vecchina, così la Befana ogni 6 gennaio aspetta ancora di vederli passare. In un’altra versione invece la donna li avrebbe cacciati, perché troppo impegnata, ma poi, sentendosi in colpa, si sarebbe recata in strada per donare dolci a tutto il vicinato e da quel momento ripeterebbe questo gesto.

Le storie su questa vecchia donna sono moltissime: per alcuni la Befana è la moglie di Babbo Natale e con lui vive al Polo Nord tutto l’anno, per altri invece la Befana vive tra i tetti di Piazza Navona a Roma e per questo ogni anno la si può trovare in piazza in mezzo alle bancarelle. Ovviamente tutte le storie sono di derivazione popolare e nel tempo sono mutate, mostrando però sempre l’importanza di questo personaggio nelle celebrazioni.
La sovrapposizione della sua figura con quella dei Re Magi e con la rivelazione che Dio fece ai tre non ha quindi alcun significato religioso, ma si tratta solo di una delle tante forme di sincretismo religioso che si sono sviluppate nei secoli.

Perché la Befana porta carbone e dolci?

Il giorno dell’Epifania tutti i bambini in Italia si svegliano e trovano in casa una calza piena di dolci, ma solo se si è stati buoni. I bambini che si sono comportati male infatti nella calza troveranno solo carbone. Il carbone si lega ad una delle tante leggende che ruotano intorno alla figura della Befana e della sua percezione. Secondo una credenza popolare infatti la Befana incarnerebbe l’anno vecchio che va via e proprio per questo sarebbe una donna anziana.
Per tutti coloro che durante l’anno precedente si sono impegnati e hanno fatto del loro meglio la Befana porta dolci e leccornie per premiarli, diversamente chi non ha messo impegno riceve carbone, segno della sterilità delle proprie azioni.

“La Befana” di Giovanni Pascoli: testo

Viene viene la Befana,
vien dai monti a notte fonda.
Come è stanca! la circonda
neve, gelo e tramontana.
Viene viene la Befana.
Ha le mani al petto in croce,
e la neve è il suo mantello
ed il gelo il suo pannello
ed è il vento la sua voce.
Ha le mani al petto in croce.

E s’accosta piano piano
alla villa, al casolare,
a guardare, ad ascoltare
or più presso or più lontano.
Piano piano, piano piano.

Che c’è dentro questa villa?
uno stropiccìo leggiero.
Tutto è cheto, tutto è nero.
Un lumino passa e brilla.
Che c’è dentro questa villa?

Guarda e guarda… tre lettini
con tre bimbi a nanna, buoni.
Guarda e guarda… ai capitoni
c’è tre calze lunghe e fini.
Oh! tre calze e tre lettini…

Il lumino brilla e scende,
e ne scricchiolan le scale:
il lumino brilla e sale,
e ne palpitan le tende.
Chi mai sale? chi mai scende?

Co’ suoi doni mamma è scesa,
sale con il suo sorriso.
Il lumino le arde in viso
come lampana di chiesa.
Co’ suoi doni mamma è scesa.

La Befana alla finestra
sente e vede, e s’allontana.
Passa con la tramontana,
passa per la via maestra,
trema ogni uscio, ogni finestra.

E che c’è nel casolare?
un sospiro lungo e fioco.
Qualche lucciola di fuoco
brilla ancor nel focolare.
Ma che c’è nel casolare?

Guarda e guarda… tre strapunti
con tre bimbi a nanna, buoni.
Tra le ceneri e i carboni
c’è tre zoccoli consunti.
Oh! tre scarpe e tre strapunti…

E la mamma veglia e fila
sospirando e singhiozzando,
e rimira a quando a quando
oh! quei tre zoccoli in fila…
Veglia e piange, piange e fila.

La Befana vede e sente;
fugge al monte, ch’è l’aurora.
Quella mamma piange ancora
su quei bimbi senza niente.
La Befana vede e sente.

La Befana sta sul monte.
Ciò che vede è ciò che vide:
c’è chi piange, c’è chi ride:
essa ha nuvoli alla fronte,
mentre sta sul bianco monte.

“La Befana” di Giovanni Pascoli: analisi e commento

Ciò che è interessante notare è che la Befana di Pascoli viene raffigurata con un’iconografia divina, quasi cristologica: “ha le mani al petto in croce”, viene ripetuto due volte. Inoltre, nel finale, la Befana si isola sul monte (forse un sottile rimando al Monte Calvario?) e piange le pene dell’umanità, alle quali non può porre rimedio. La Befana riassume in sé le caratteristiche proprie della divinità: immanenza, onniscienza, tutto vede e tutto sente, eppure – questo è l’aspetto più straziante – non può in alcun modo porre rimedio al Male.
La poesia di Pascoli è dolceamara, come l’epifania. Strutturata in rima, come una filastrocca, si propone come un’alta riflessione morale.
Si tratta di una lirica fortemente sensoriale che sollecita soprattutto l’udito e la vista: ci mostra i due quadri sociali in maniera vivida e pittoresca, ci fa udire lo scricchiolio delle scale e il vibrare delle tende nella famiglia ricca, dove un lumino è acceso, e poi i sospiri e i pianti nella famiglia povera. In particolare il pianto di quella madre che non ha doni da offrire ai suoi figli ci pare di udirlo, tanto è insistita la ripetizione sulla parola “piangere” che ne amplifica lo strazio.
Il disagio suscitato dall’ultima parte della poesia è rimarcato e acuito dal mancato lieto fine. Tutti ci aspettiamo che la Befana compia l’atto risolutivo, auspichiamo l’intervento magico. Invece la Befana di Pascoli si limita a “vedere e sentire” e poi si ritira sola sul monte, pensosa.
Forse è proprio l’atto del pensare ciò che rende la Befana più umana e ce la fa percepire vicina, perché i suoi pensieri ombrosi, dopotutto, sono anche i nostri. La sua impotenza, in fondo, ci appartiene e nel finale questa appartenenza si fa ancora più tangibile attraverso l’uso dei verbi che rimarcano la continuità della pena della vecchina:

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