• 23 Novembre 2024 19:54

Direttore Responsabile: Giuseppe Barone .

Diocesi Nocera-Sarno in festa San Prisco, omelia del Vescovo Mons. Giuseppe Giudice.

Sorelle e fratelli, carissimi Presbiteri, signor Sindaco, Autorità tutte, la luminosa testimonianza di San Prisco, primo Vescovo e Patrono della Diocesi di Nocera Inferiore-Sarno, ci raduna ancora intorno all’altare della Chiesa Cattedrale per pregare e rendere gloria a Dio.

Istruendoci sulla finalità di ogni celebrazione liturgica, ci educa il Concilio:

“Nella liturgia terrena noi partecipiamo per anticipazione alla liturgia celeste che viene celebrata nella santa città di Gerusalemme, verso la quale tendiamo come pellegrini, dove il Cristo siede alla destra di Dio quale ministro del santuario e del vero tabernacolo; insieme con tutte le schiere delle milizie celesti cantiamo al Signore l’inno di gloria; ricordando con venerazione i santi, speriamo di aver parte con essi; aspettiamo come Salvatore il Signore nostro Gesù Cristo, fino a quando egli comparirà, egli che è la nostra vita, e noi saremo manifestati con lui nella gloria” (SC,8).

San Prisco, fedele alla celebrazione eucaristica, ha glorificato Dio realizzando la parola dell’Apostolo: Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge.

Se vogliamo custodire il giardino che il Signore ci affida – vita, creato, missione – sempre duplice deve essere la vigilanza, su noi stessi e sugli altri.

E mi piace amplificare questa custodia-vigilanza a tutti coloro che, nella Chiesa e nella società civile, hanno un compito di responsabilità, senza restringerlo soltanto ai pastori ecclesiali, ma a tutti, perché ognuno è custode del fratello (Gen 4,9).

Così diventa lunga la lista di questi custodi-vigilanti, a cominciare dai genitori, che vogliamo ringraziare per il prezioso ministero che hanno svolto e svolgono, non senza sacrifici, per l’educazione delle nuove generazioni, la parte più preziosa ma anche più fragile della società.

Siano benedetti i nostri genitori, e tutti coloro che in diversi modi si sono fatti custodi dell’altro!

Se ci è stato affidato un compito, non per nostro merito, entriamo anche noi in questa lunga lista di custodi-vigilanti e, umilmente, per esserne capaci chiediamo preghiere, aiuti, comprensione e benevolenza, per esercitare nella libertà e responsabilità il servizio al bene della persona e delle comunità.

Nel discorso di Paolo agli anziani, che la Liturgia ci propone, sono tracciate le coordinate per essere custodi del gregge, e di ogni gregge.

Innanzitutto, bisogna vegliare su di sé.

Vuol dire accogliere ed apprezzare la vita come un dono e nella vita accogliere la missione, ecclesiale o sociale che sia.

Accogliere la vita, oggi così svenduta e bistrattata, e ripetere: io sono un donoio sono una missioneio sono un progetto da realizzare, unico ed irripetibile.

Senza presunzione, è bello ripetere: mi è stata data la vita come un dono e, nella missione affidatami, io ne faccio un dono per gli altri.

Tutto si riceve e tutto si restituisce nella gratitudine:

Che cosa possiedi che tu non l’abbia ricevuto? E se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto? (1Cor 4,7).

Vegliare su se stessi vuol dire essere contenti del dono della vita, e non volere aggiungere cose alla vita, ma vita alle cose; non solo giorni alla vita, ma vita ai giorni.

Vegliare su se stessi significa riscoprire lo stupore della vita, di ogni vita e sempre, sapendo che siamo stati fatti come un prodigio (cfr Sal 139).

Vegliare su se stessi ci rende coscienti che siamo polvere, ma polvere di stelle posta nelle mani di Dio, che sempre crea a ricrea, facendo nuove tutte le cose (cfr Ap 21,5).

Vegliare su se stessi vuol dire crescere, studiare, viaggiare, leggere, approfondire, saper esplorare con sana curiosità il giardino nel quale siamo stati posti, non per sfruttarlo, ma per apprezzarlo, goderne e, contemplandolo, alzare gli occhi verso il cielo, lasciandolo sempre più accogliente di come ci è stato affidato.

Vegliare su se stessi richiede certamente una severa disciplina per essere all’altezza del compito che ci è stato affidato; chiede attenzione alla salute fisica, mentale e spirituale, per non deludere gli altri da custodire.

Non ci è consentito addormentarci, distrarci, irrigidirci, ma ci è chiesto uno sguardo sereno e rappacificato, pacificante, capace di saper cogliere ciò che unisce, mettendo da parte ciò che divide, attenti al particolare per valorizzare il tutto.

Solo una vigilanza amorosa su noi stessi, ci abilita a vigilare su tutto il gregge.

L’Apostolo, esperto di uomini e cose, ci mette in guardia dai lupi rapaci, che non risparmiano il gregge; mentre siamo inviati dal Maestro come agnelli in mezzo ai lupi.

Chi sono i lupi rapaci?

Penso che non sia richiesta una spiegazione, ma sappiamo che è tutto ciò da cui ci dobbiamo difendere – uomini e cose – per il bene della nostra vita, del gregge, della società, della famiglia, della Chiesa e del Paese.

San Paolo ci ricorda la duplice provenienza dei lupi: entreranno fra voi – sorgeranno di mezzo a voi; quasi a dire ad extra e ad intra, di fuori e dall’interno.

Il custode, se vuole proteggere e difendere la sua vita e il gregge, deve vigilare sempre su due fronti, esterno ed interno.

A volte, può essere più facile identificare il nemico che viene dall’esterno, che quello che cova all’interno.

Grandi Pastori e grandi Statisti hanno saputo difendere la gente, pagando di persona, da attacchi e dottrine perverse che minacciavano la vita di comunità ed interi popoli, mettendo in ombra soprattutto la dignità di ogni persona.

Ieri, forse, il pericolo era più evidente, anche se non meno minaccioso; oggi è più subdolo, più strisciante, perché meglio i lupi si travestono da agnelli; il male si insinua, si mimetizza, si omologa, si sa vendere, si confonde, diventa suadente e per questo richiede più intelligenza, fiuto, vigilanza e prudenza.

Bisogna curare e vigilare molto sull’interiorità, avere una disciplina spirituale, perché il Maestro ci ha detto che il male viene dall’interno (cfr Mt 15,19-20).

Certo reca più sofferenza il lupo rapace che sorge in mezzo a noi, tra di noi, tra quei di casa, del gruppo, e rende sempre più attuale la Parola del Maestro: e nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa (Mt 10,36).

E fa ancora più male quel male che, dentro di noi, non riusciamo ad estirpare, zizzania che sempre prolifera in mezzo al buon grano (cfr Mt 13,24-30).

Ogni servizio alla Città dell’uomo, per essere efficace non può disattendere la cura verso ogni uomo che vive e fa la città; l’attenzione ai suoi sogni e ai suoi bisogni; alle sue conquiste e alle sue sconfitte; ai suoi traguardi e ai suoi ritardi; alle sue angosce e alle sue speranze.

L’Apostolo e i grandi Pastori, custodi appassionati e premurosi del gregge, a cui ci affidiamo, ci testimoniano come vigilare e quanta pazienza occorre, e quanta cura per il bene di ogni uomo e di ogni donna.

Siamo chiamati ad essere attenti:

* Con il ministero dell’esortazione delle lacrime: Per questo vigilate, ricordando che per tre anni, notte e giorno, io non ho cessato di esortare fra le lacrime ciascuno di voi.

* Con l’affidare il gregge al Signore e alla parola della sua grazia: Ed ora vi affido al Signore e alla parola della sua grazia che ha il potere di edificare e di concedere l’eredità con tutti i santificati.

* Con il ministero della preghiera: Detto questo, si inginocchiò con tutti loro e pregò.

L’Apostolo si inginocchia, esorta, piange e prega. E noi?

Non si può vigilare su noi stessi e su gli altri se non rimanendo in ginocchio e pregando. Si vigila con le ginocchia consumate e con le mani giunte davanti al Tabernacolo; ricordando – per chi crede – che tutto viene dall’Alto e da un Altro; e per chi non crede che – senza onestà intellettuale – siamo destinati a naufragare, a non governarci e a non governare. San Prisco, primo Vescovo e testimone pasquale, ci benedica e ci sostenga nel nostro non facile compito al servizio della Chiesa e del mondo affinché sorga una nuova alba di speranza.

Amen. Alleluia.

Cattedrale di San Prisco, Nocera Inferiore

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